Nei primi anni Ottanta partecipai a un corso di una giornata sulle tecniche di memorizzazione. Il relatore come prima cosa ci sottopose a un test dimostrativo. Disse che ci avrebbe elencato 10 parole che non avevano alcuna attinenza fra loro, e che senza prendere appunti avremmo dovuto cercare di memorizzarle in un tempo stabilito (circa 15 minuti), scriverle su un foglio nell’ordine esatto in cui ce le aveva elencate, firmare i fogli e consegnarglieli. E così facemmo.

Fu molto soddisfatto nel constatare che la maggioranza dei partecipanti aveva ricordato solo 3 o 4 parole e in ordine sparso, dandogli il pretesto giusto per continuare la lezione. Ma quando arrivò al mio foglio, perse l’entusiasmo. Ero riuscita a ricordarle tutte nell’ordine esatto.

Disse che era impossibile, che sicuramente o avevo già partecipato ai suoi corsi o ero amica di sua figlia e quindi sapevo già tutto. In realtà mi ero costruita mentalmente una storia che legasse fra loro in sequenza tutte le parole, così era stato facile per me riportarle tutte per iscritto. Il mio cervello ha funzionato proprio così: per ricordare parole diverse le ha collegate in una sequenza ordinata con un inizio, una parte centrale e un finale, proprio come una storia.

Quello fu il mio primo inconsapevole storytelling, creato per risolvere facilmente e velocemente una prova di memoria. Non a caso, vorrei aggiungere, perché l’utilizzo dello storytelling è il segreto per comunicare cose che si fanno ricordare. 

Da allora ne ho creati tanti, perché raccontare storie è il mio mestiere. Il processo attraverso il quale sviluppo la storia – di un’azienda, un marchio o un prodotto – è sempre lo stesso. L’ossatura che ha un inizio, una parte centrale e un finale deve però essere riempita di contenuti interessanti, di valori importanti, di momenti emozionanti. Dove li trovo?

Scavando in una miniera di informazioni che possono essere interne o esterne all’azienda, e quando ciò non è possibile li attingo dalla mia fantasia. Le fonti di uno storytelling sono infatti diverse, eccone alcune che mi sono sempre state utili:

  • risalire alle fondamenta dell’azienda, la sua storia e i suoi valori;
  • scoprire o riscoprire le origini del prodotto, la sua filiera, fino all’esperienza che ne fanno i consumatori;
  • reinterpretare una storia del passato in modo che diventi attuale;
  • ritornare alle fonti primarie di tutte le storie, cioè gli archetipi della narrazione;
  • dare vita a un’invenzione plausibile e collegabile alla realtà dell’azienda attraverso la creazione di un mondo, un percorso, un’esperienza in cui far vivere il prodotto come protagonista, compagno di viaggio, premio da raggiungere o altro di valore. 

Dobbiamo dotarci di un lumicino per scavare a fondo, e poi portare alla luce naturale del sole cose che prima erano dormienti, nascoste, archiviate o dimenticate. In alternativa, dare libero corso all’immaginazione.

Lo storytelling è da sempre impiegato in comunicazione e pubblicità. In LDB lo utilizziamo fin dai primi anni Sessanta, quando l’agenzia creava filmati per Carosello, piccole storie legate al prodotto da pubblicizzare che in più sapevano intrattenere il pubblico televisivo. Tornando ai nostri giorni, vorrei citare un esempio di storytelling applicato al settore food che ha portato al risultato di avvicinare concretamente il produttore ai suoi potenziali consumatori, farlo conoscere meglio e apprezzare di più: il caso del Consorzio di Tutela Patata di Bologna D.O.P. 

Un esempio di storytelling

La Patata di Bologna appare come un prodotto umile e povero, in realtà la sua coltivazione ha una storia lontana e ben radicata nel territorio che fornisce elementi preziosi per la comunicazione. Una storia che vale la pena di riscoprire, rendendo protagonisti i suoi coltivatori. Abbiamo così creato il termine “Coltivatori di Valori”, che identifica i pataticoltori bolognesi riuniti in Consorzio per far crescere la bontà, qualità e unicità del loro prodotto valorizzando il territorio. Dopo averli intervistati a uno a uno abbiamo fatto conoscere al pubblico le loro singole storie, dedicando ad esse una intera sezione del sito web della Patata di Bologna.

Per costruire uno storytelling efficace abbiamo fatto largo uso di foto in campo e citazioni genuine, dato spazio al vissuto e alle esperienze per coinvolgere il pubblico con passione ed emozione, corredato di mappe per raggiungere le aziende agricole, creato un sistema di tracciabilità che dal packaging del prodotto rimanda direttamente a chi lo ha coltivato. Il consumatore può così toccare con mano l’origine vera, la bontà sincera del prodotto e il risultato dell’impegno di ogni socio del Consorzio per fare della Patata di Bologna una eccellenza unica e tipica della nostra terra. Un’esperienza “diretta” e completa che si farà certamente ricordare nel tempo.

E voi, in quale modo siete riusciti a creare uno storytelling particolarmente efficace?